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Fare impresa: essere corretti può non bastare

Sono una dei tanti piccoli imprenditori della manifattura bresciana, nel campo metalmeccanico artigiano.

Desidero spiegare cosa significa essere imprenditori oggi al tempo del Covid. Io e miei soci abbiamo deciso di chiudere totalmente l’azienda in data 14 marzo, prima ancora che il governo ce lo imponesse, a tutela della salute e della tranquillità dei nostri colleghi e collaboratori. Già precedentemente, avevamo dotato tutti i nostri dipendenti di un kit contenente guanti, mascherina Fp3, detergente sanificante, istruzioni dettagliate sul mantenimento della distanza di sicurezza e sull’utilizzo dei Dpi.

Avevamo interdetto l’accesso ai locali a tutti i fornitori e agli agenti che con regolarità venivano a farci visita.

Ma vedevamo la preoccupazione serpeggiare tra i collaboratori, e per responsabilità civile, etica imprenditoriale, abbiamo chiuso, e attivato la richiesta di Cassa integrazione per tutti i dipendenti all’ente bilaterale di riferimento.

Io e di miei soci, non abbiamo comunque smesso di «andare a lavorare» perché l’azienda l’abbiamo nel sangue, perché se non ti senti addosso la puzza di olio meccanico la sera quando torni stanco dal lavoro, sembra che non hai lavorato, non hai fatto il tuo dovere; e perché speravamo in qualche modo di procurare lavoro per il dopo pandemia. Premetto che nel frattempo, per etica aziendale e prassi professionale, abbiamo sempre pagato i contributi, le ritenute e l’Iva, che il governo seppur tardivamente, aveva prorogato al 31 maggio.

Abbiamo riaperto il 4 maggio, pur potendo riaprire il 27 aprile per l’appartenenza al codice Ateco specifico, perché ritenevano essere troppo presto rispetto all’emergenza Covid che ci toccava nella realtà. Ma è stata un amara riapertura: seguendo tutti i Decreti del presidente del Consiglio (Dpcm) che si sono susseguiti da parte governativa, e le ordinanze di Regione Lombardia, nonché il protocollo per la sicurezza nei luoghi di lavoro, abbiamo scoperto che nottetempo, in data 17 marzo, l’Inail, ad imprese chiuse, e senza alcun confronto con gli imprenditori, ha inserito il Covid tra gli infortuni di lavoro con responsabilità civile e penale dell’imprenditore, equiparano la causa violenta alla causa virulenta, riconoscendo pure l’infortunio in itinere anche se il lavoratore utilizza l’auto privata per recarsi sul luogo di lavoro.

Da imprenditore mi domando e lo domando a tutti gli imprenditori: fare impresa è già un’impresa in tempi normali in Italia, ma fare impresa oggi, con queste norme che di cono tutto ed il contrario di tutto, che rendono l’imprenditore delinquente a prescindere, ha ancora senso? Nei confronti di una crisi pandemica odierna, ed economica prossima ventura, con gli imprenditori che rischiando molto, secondo me tutto, stante la responsabilità penale Covid, con etica e onestamente riaprono le proprie aziende, rispettando seppur nella difficoltà a reperire mascherine Fp2/Fp3, liquido disinfettante, termo scanner per rilevare la temperatura, pareti divisorie di plexiglas, sanificazione certificate, distanziamento personale che chiedono di fare i test sierologici, inascoltati in quanto la Regione aspetta direttive ministeriali, Ha ancora senso essere imprenditori oggi in Italia? I miei ragazzi, ad oggi non hanno ancora percepito la Cassa integrazione del mese di marzo e siamo al pagamento della mensilità del mese di aprile, che probabilmente, percepiranno a giugno, pur avendo noi imprenditori versato regolarmente e mensilmente per anni nel fondo dell’ente di categoria migliaia di euro all’anno!

Ho sempre pensato che l’imprenditore ha il dovere di essere positivo, propositivo, propulsivo, perché ha la responsabilità di tante famiglie sulle spalle, ma queste spalle sono ormai schiacciate e gravate da un peso immane di inefficienze, ritardi, burocrazia, incapacità di chi gestisce il Paese, la famosa classe dirigente. E ho imparato da tempo ormai che «il pesce puzza sempre dalla testa».

In questa settimana abbiamo avuto contatti telefonici con clienti e fornitori di altre regioni italiane e di Paesi europei ed extraeuropei e tutti, ma proprio tutti, ci hanno fatto la prima domanda: come state? È vero quello che si sente in televisione su Brescia? Ma perché è così grave proprio lì? Non mollate mai, abbiamo bisogno del vostro contributo. Come facciamo senza i vostri prodotti? Ecco vorrei che la Classe dirigente del Paese mi facesse le stesse domande, ma da quella mi aspetterei risposte sincere e le conseguenti azioni!

Noi piccoli imprenditori ci siamo sempre assunti le responsabilità di essere imprenditori e di fare impresa pur nella difficoltà di farlo eticamente creando benessere e sviluppo per le nostre imprese e per il Paese.

Ma la responsabilità penale dell’equiparazione Covid/infortunio, non la vogliamo. Allora fateci chiudere fino alla fine della pandemia dichiarata il 31 gennaio e fino al 31 luglio 2020. In fondo chi ha responsabilità di governo, dalle Task force in giù chiedono prioritariamente lo scudo penale, e ci sarà una ragione! Noi piccoli imprenditori, chiediamo di poter fare quello che siamo capaci di fare: impresa!

Perché la spina dorsale economica dell’Italia è la piccola e media impresa e specificatamente il settore manifatturiero. Se chiudiamo noi fallisce l’Italia.

Ornella Cottini
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La storia di Bellegrandi attraversa due generazioni di famiglie guidate da un grande spirito di intraprendenza, che hanno continuamente innovato e consolidato l’azienda con prodotti di qualità. L’esperienza ci ha direzionato nella scelta di nuove tecnologie, perfezionando i nostri prodotti per la metalmeccanica standard e customizzata. Il know-how ci ha spinto lontano: da Molinetto di Mazzano a diverse aree del mondo.

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